Il Canale Telegram Notizie massoniche italiane risponde alla Lettera indirizzata il 14 luglio scorso da Andrea Roselli, 33° M.A., a tutti i Fratelli Scozzesi della Giurisdizione italiana
Ill.mo Sovrano Gran Commendatore,
avendo apprezzato la Tua apertura a un dialogo sincero sul concetto di “tradizione”, vorremmo contribuire con il nostro punto di vista.

Inizi la tua Lettera affermando che la tradizione “non è una reliquia polverosa, ma il faro che da millenni squarcia le nebbie dell’ignoranza”. È senza dubbio un incipit “forte”, rileviamo, tuttavia, che oggi quel “faro” si è perlomeno appannato, e che di ignoranza nelle nostre Sale ne circola parecchia. Sicuramente troppa.
Una ignoranza che non si manifesta nella misconoscenza degli aspetti formali della nostra tradizione, quanto di quelli sostanziali. Fatto tanto più grave perché radicato soprattutto nel Rito che presiedi.
E continui: “Viviamo tempi che idolatrano la novità, scambiando lo scintillio dell’effimero per progresso. Ma quando la velocità delle informazioni ci stordisce, quando il rumore del presente ci disorienta, è alle radici che dobbiamo tornare”. Vorremmo chiederti a quali “radici” ti riferisci. Perché la nostra tradizione è in effetti un sistema valoriale in cui le uniche radici condivise non sono l’espressione di un passato cui tornare, ma – per così dire – un contegno capace di tenere insieme e dar significato continuativo al presente collegandolo al futuro.
Il “buono” e il “giusto”, insomma, non stanno in qualche cripta da scoperchiare allo sguardo del massone, ma nel suo stesso animo. Totalmente cristallini.
Poi aggiungi: “Perché i valori non si studiano sui libri, non si inventano nei laboratori del pensiero: Si trasmettono come il fuoco sacro di generazione in generazione; Si custodiscono nel silenzio delle veglie; Si vivono nelle scelte quotidiane che ci legano ai nostri avi e ai nostri nipoti. La vera libertà di pensiero nasce da questa catena ininterrotta”. Permettici di far ordine. Purtroppo, infatti, dobbiamo dissentire: i valori, infatti, secondo noi, si apprendono anche attraverso la frequentazione dei libri. In un mondo in cui i messaggi sono sempre più veicolati per mezzo di “spot”, la sana frequentazione dei libri offre il giusto spazio per una elaborazione intellettuale ed emotiva più ricca, sfaccettata e meno stereotipata. E purtroppo dissentiamo anche dalla Tua seconda affermazione: i valori, infatti, si costruiscono proprio nel laboratorio del pensiero di ognuno di noi. Perché l’idea che essi si trasmettano, immutabili, come un “fuoco sacro”, di generazione in generazione, è oltremodo fuorviante. Troppo statica, troppo comoda e per nulla rassicurante, soprattutto visti gli odierni risultati catastrofici di questa vagheggiata “staffetta”.
Giusto, come dici, che tali valori si vivano nelle scelte quotidiane, ma proprio per questo essi non devono affatto “custodirsi nel silenzio delle veglie”! Anzi, al contrario, essi vanno messi alla prova, agiti nella concitazione del quotidiano!
Nel silenzio del Monastero siamo tutti santi, nella Sala del Re siamo tutti cavalieri… poi è sul campo che si provano fedi ed armature.
Infine, consentici ancora, la “libertà di pensiero” non è certo un lascito, non viene da una “catena ininterrotta” ma è un esercizio che non “deriva”, anche qua, da un passato, ma si attua nel presente. Semmai il passato offre gli strumenti per una “elaborazione”, ma occorre attualizzare. Occorre, in altre parole, sporcarsi le mani con le scelte presenti. Le uniche in grado di qualificarci.
Tu affermi: “Ogni verità che oggi difendiamo fu conquistata da qualcuno che, secoli fa, scelse di tramandare anziché tradire”. Niente di più errato. Il massone, infatti, non difende alcun dogma, e non ha alcuna “verità” aprioristica da trasmettere se non il metodo del dubbio, che è proprio l’antitesi delle “verità” precostituite. Il dubbio non è mai “tradimento”, ma onere e onore della verifica.
Se manca la verifica, manca il massone, se manca la sintesi che fa il massone, è inutilmente operata l’Arte.
Dici: “Ogni diritto che esercitiamo fu custodito da mani anonime che resistettero alle maree del conformismo”. Forse sarebbe stato meglio scrivere: “ogni diritto che esercitiamo è stata la conquista strappata all’oscurantismo”.
Il conformismo, infatti, è certamente il puntello del Regime (se è questo che volevo sostenere), ma il male non risiede tanto nell’agire della massa amorfa, quanto in chi su di essa fonda la base del proprio potere dispotico e personalistico. E non occorre fare esempi…
Poi esorti: “Guardate alle civiltà che hanno sfidato i secoli: non furono quelle che bruciarono le biblioteche del passato, ma quelle che onorarono il patto tra morti, vivi e non ancora nati”. Qua rileviamo è una malcelata critica verso il “progresso” inteso in senso negativo e alienante.
Il problema è che il progredire umano non è affatto un qualcosa di “alieno”, ma anzi costituisce la condizione necessaria del divenire storico.
Non vogliamo fare Filosofia, e finora non l’abbiamo fatta, ma consigliamo al Sovrano Gran Commendatore la lettura, anche veloce, delle Vorlesungen über die Philosophie der Geschichte di Hegels. Là troverà spunti per convincersi che il progresso è un processo necessario e razionale, in cui la libertà e la ragione si sviluppano progressivamente verso la piena realizzazione. Anche attraverso gli inciampi cui sempre va e andrà incontro l’uomo.
Altrimenti non saremmo cittadini di questa Terra, ma della Città Celeste del Regno di Dio.
Pertanto, l’unico “patto” che può esistere tra i morti e i vivi (e i non ancora nati) è quello di riuscire ad elaborare continuamente un’idea di futuro, frutto sì delle esperienze passate, ma anche dell’intuizione razionale che si evolve, generazione dopo generazione, nel presente.
Pertanto non è, come affermi Tu, che: “La tradizione è l’antidoto alla dittatura del presente”, e che: “La verità non è un algoritmo, ma un raccolto maturato in millenni di errori e sacrifici”, ma semmai: “La tradizione concorre ad una interpretazione del presente, con cui immaginare il futuro” (il riferimento è a Hobbes, The Elements of Law Natural and Politic), e: “la verità si costruisce riflettendo su millenni di errori e sacrifici”. ovviamente cambia tutto.
Infine, chiudi la tua missiva con una esortazione: “Accogliamo dunque questa battaglia con il coraggio di chi sa di camminare su un sentiero antico. Combattiamo per la verità, ma ascoltando l’eco dei passi di chi l’ha difesa prima di noi”. Anche qua ci duole di constatare che la lezione massonica non è stata elaborata.
Diremmo noi: “Accogliamo le sfide future con il coraggio di chi sa camminare sul sentiero del presente”, o, più semplicemente, “Facciamo verità!”
La “verità”, caro Andrea, non è un’astrazione da “scavare”, ricercandola negli avi, nel “latte materno”, e nell’astratta simbologia del Tempio, bensì una realtà incarnata in ognuno di noi. In te, quando da giovane aderisti alla P2 di Licio Gelli, e sempre in te, oggi, che presiedi l’assise Scozzese italiana. La verità sono le nostre continue scelte.
La “battaglia” non si accoglie sul “sentiero antico”, ma ci richiama al significato più profondo del nostro “esserci”. In questo senso la verità si rivela nel mondo sempre hic et nunc. Ed è proprio questa sua attualità che necessita di costante responsabilità e discernimento.
Nulla gli “antichi” ci possono dare che non sia frutto delle nostre azioni.
Se queste sono deludenti non è perché non ascoltiamo gli “echi” del passato, ma perché siamo sordi, o tradiamo, i richiami che provengono dal nostro comune futuro. Che spesso barattiamo con tutte le nostre piccole ed insignificanti ipocrisie.
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